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sabato 10 novembre 2012

COGAN - killing them softly

 Devi essere pronto a fare qualcosa



Un film con molti piani di lettura.
Ecco cos'è il nuovo lavoro di Andrew Dominick, regista poco prolifico ma molto efficace nel trasmettere concetti e sensazioni attraverso le proprie opere, dotato di un talento nella narrazione per immagini che non si esaurisce nel raccontare una storia, ma la arricchisce di significati e suggestioni tali da rendere chiara la presenza di "altro" dietro quella che di fatto è una trama molto semplice e diretta.

Il film vuole raccontare una storia di degrado fisico e morale, malavita, speranze e rassegnazione, all'interno del quale è impossibile non cogliere un'amara riflessione sul mondo moderno, e in particolare sull'America moderna.


Partendo da una struttura da gangster movie di stampo classico, che certamente piacerebbe a Scorsese per gestione del ritmo e gusto nelle inquadrature, il lavoro di Dominick si avvale di una serie di metafore ben pensate e ben sfruttate (nonostante la brevissima durata del film, solo 80 minuti).
I parallelismi al mondo moderno e alla sua struttura gerarchica sono chiari, quasi urlati; i "loro" che controllano e monitorano la situazione senza mai essere visti, lo spietato sicario che fa ciò che deve essere fatto, l'autista che si tappa il naso e fa da tramite dei loro messaggi, i personaggi manovrati come marionette.

I cosiddetti "poteri forti", la politica, i media, il popolo.
E se osservata in questa luce, una vicenda banale assume un interesse inaspettato.
I dialoghi che possono apparire inutili, forzati, monotoni, assumono un senso; ogni personaggio rappresenta qualcosa nella società moderna.
E così nell'ex sicario ora alcolizzato e sessuomane è possibile vedere la politica degenerata, non più in grado di tenere le redini della situazione affogata nei suoi vizi e nella sua deformità.
Nel gestore della lavanderia che ordisce il piano della rapina, è chiaro il parallelo con chi sfrutta il lavoro altrui per fregare il banco ed arricchirsi.

E nel killer interpretato da un sempre più bravo Brad Pitt, è impossibile non vedere la mano del potere politico, che ha ormai perso la sua funzione di appoggio alla gente comune, che è rimasta sola, abbandonata, ma non la sua capacità organizzativa, la sua capacità di prendere decisioni e mettere in atto i suoi piani piani.
Solamente, con l'ultima, durissima, battuta, ci spiega quali sono, oggi, le sole leve che lo fanno muovere.


Dal punto di vista formale, il film è ottimo.
La regia è impeccabile, tanto da riportare alla mente lo Scorsese migliore, quello dei gangster movie. E se pure non raggiunge certi livelli (e ci mancherebbe), la gestione della narrazione è sempre perfettamente controllata e bilanciata, lo stile asciutto, essenziale, la violenza per niente stilizzata, ma diretta, mostrata esplicitamente ma non spettacolarizzata. Una violenza che colpisce e fa male.
In questo è supportato da una fotografia di alto livello, che permea tutto il film di una plumbea depressione che non si esaurisce mai, dando vita a scene dal grande impatto visivo.

Attori bravi, alcuni molto bravi (Pitt, Gandolfini, ma su tutti Jenkins), sebbene il doppiaggio italiano non aiuti su alcuni personaggi.
Graditissima la presenza di Ray Liotta, in un'ottima interpretazione nel ritorno al genere che l'ha reso famoso.


E se è innegabile che il ritmo non sia esattamente una delle caratteristiche migliori di questo titolo, tant'è che il film mostra diversi tempi morti nonostante la breve durata, con dialoghi a tratti eccessivamente prolungati e momenti non sempre del tutto necessari allo svolgimento della trama o alla costruzione dell'atmosfera e delle metafore di cui si è detto sopra, questo non inficia il risultato finale che, almeno nella mia opinione, è un lavoro con qualcosa da dire, una personalità spiccata e in definitiva un buon film, che, in questo momento cinematografico, non andrebbe sprecato.


G.C.







1 commento:

  1. Condivido tutta l'analisi. Bravo! Un occhio di riguardo io lo dedicherei anche all'attore che impersonava il drogato. Credibile, è riuscito a creare un personaggio molto caratterizzato.

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